Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana: non un’unica esperienza di visita, ma percorsi e itinerari per diversi target di riferimento grazie a tecnologie, interfacce e collaborazione tra figure professionali.
Il Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana, inaugurato a Genova nel maggio 2022 e interamente concepito e costituito da esposizioni multimediali, è l’esempio perfetto per approfondire la tematica dell’uso delle tecnologie digitali per i beni culturali.
Pur mantenendo un’identità visiva coerente per l’intero museo, le interfacce digitali progettate rispondono a esigenze diverse e talvolta contrastanti dei visitatori. Il motivo di questa flessibilità è quello di rendere note e di rappresentare le oltre 200 storie di migranti, l’oggetto espositivo del museo, tramite strumenti digitali che consentano al visitatore di selezionare i contenuti da fruire con un focus personale.
In linea generale, si può affermare che il MEI ha una doppia modalità di fruizione e che i visitatori hanno due motivazioni principali che rispondono a esigenze diverse in termini di esperienza utente e di interfaccia.
Il visitatore-ricercatore vuole scoprire la storia dei propri discendenti, del nome di famiglia o del naufragio in cui è morto un parente, approfondendo un piccolo numero di storie, documenti o testimonianze alla ricerca di dettagli. Il mezzo digitale deve esporre una grande quantità e varietà di materiale, sistematizzarlo secondo vari criteri, permetterne la ricerca all’interno dell’archivio, migliorare la qualità dei documenti fotografici e consentirne lo zoom.
Il visitatore-esploratore si avvicina invece all’emigrazione come tema storico. Scopo delle tecnologie digitali – così come dell’intero l’allestimento museale – deve essere quello di trasformare un cumulo di storie individuali in una memoria collettiva.
Le interfacce digitali, in particolare gli schermi tattili, svolgono un ruolo cruciale nel conciliare queste due modalità esperienziali all’interno dello stesso allestimento museale, poiché sono state progettate per consentire al visitatore di accedere a più livelli di informazione.
L’unità di base dell’interfaccia è infatti la storia, che può contenere testi, immagini, file audio o video di diversa durata, a loro volta ordinate in raccolte, rappresentabili e visualizzabili in modo variabile sulla base delle scelte curatoriali e sul messaggio da trasmettere. Molte storie, pertanto, diventano un unico racconto e gli eventi particolari di una biografia diventano gli elementi di un’esperienza condivisa.
Il processo di progettazione delle interfacce interattive del MEI è iniziato con un’analisi approfondita dei materiali disponibili e degli obiettivi di comunicazione, condotta attraverso una serie di lunghe interlocuzioni tra il team di progettazione e quello dei curatori.
Si è trattato di un passo cruciale per la produzione di un’interfaccia in grado di mantenere una coerenza stilistica pur applicandosi a diverse storie e collezioni di storie – persone, professioni, credenze politiche, continenti, massacri – e servendosi delle due modalità di esperienza previste.
Importante è stata sia la definizione delle linee guida di progettazione – che ha permesso l’editing di massa dei materiali d’archivio, rendendo il processo sostenibile, in termini di scadenze e di risorse impiegate – sia dei percorsi creati per raggiungere i contenuti.
Dopo l’apertura del museo, inoltre, è stato deciso di dedicare un mese alla raccolta di feedback sull’esperienza utente da parte di visitatori, assistenti museali, professionisti e curatori, al fine di perfezionare l’experience che ha portato allo spostamento dei pulsanti, sia per motivi di accessibilità che di chiarezza dell’interazione.
Le tecnologie digitali sono agenti e non solo strumenti dell’esperienza museale, perché determinano le modalità di accesso a un patrimonio effimero come quello immateriale, che non ha un corrispondente fisico se non quello delle installazioni multimediali.
Accanto a esse, come testimoniato dal perfezionamento finale della user experience del MEI, assumono sempre più valore il confronto, l’osservazione, l’ascolto e la collaborazione tra figure professionali del settore e non per stabilire e ottimizzare la fruizione del patrimonio culturale.