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Digitale e virtuale: la sfida dell’educazione

Ogni giorno il mondo dell’informazione riporta dati, notizie e acquisizioni relative ai mondi virtuali e al digitale, spesso in maniera confusa e poco in linea con i traguardi raggiunti e le effettive potenzialità.

La Realtà Virtuale (VR) è descritta come un passatempo riservato a nativi digitali, esperti del settore o appassionati, spesso tacciati di essere troppo lontani dalla realtà. Per superare i pregiudizi, il settore sta lavorando su un doppio fronte: quello tecnologico, legato alla continua evoluzione di questi strumenti, e quello concettuale, ideologico. Il mondo virtuale non elimina il reale, ma lo integra seguendone e assecondandone la naturale evoluzione. Ci troviamo in una fase centrale del processo di smaterializzazione verso una vita più agile, non distaccata dalla realtà, ma dalla necessità stringente della materialità.

Uno degli ambiti meno esplorati è quello dell’educazione, intesa come formazione ad ampio raggio, dalle aule scolastiche al training aziendale. Mentre la Realtà Virtuale si dimostra utile e già impiegata nell’ambito del training professionale ad alto rischio, in ambito scolastico non è ancora sfruttata, nonostante la grande propensione delle nuove generazioni verso una tecnologia a cui sono già ampiamente abituati.

Complice la scarsità di investimenti nella scuola di ogni ordine e grado, il mondo dell’istruzione si è trovato a dover affrontare un buco generazionale, concettuale e tecnologico. La direzione del PNRR sembra essere promettente: si parla infatti di 13 miliardi per la nuova didattica.

La Realtà Virtuale potrebbe rispondere a numerose esigenze educative: prima fra tutte, quella di ricordare. Secondo numerosi studi, infatti, le emozioni hanno un fortissimo impatto sulla memoria, sia in senso positivo, di prolungamento e solidità dei ricordi, sia con effetti di soppressione, in caso di traumi.

La validità delle informazioni emotive è amplificata dalla loro intensità: tendiamo a fidarci dei nostri ricordi, sovrapponendoli alla realtà e validandoli grazie al supporto di fattori sensoriali, percettivi e semantici, garantendo all’esperienza vividezza e ricordo.

La VR, proprio perché simula ambienti tridimensionali e permette di interagire con essi, da questo punto di vista ci mostra un panorama potenzialmente senza confini. I dati mostrano come l’apprendimento tramite VR garantisce un +3,75% di connessione emotiva al contenuto rispetto all’apprendimento standard, e un’assimilazione quattro volte più rapida.

Già nel 1969 Edgar Dale, pedagogista americano, aveva esemplificato in uno schema a forma conica (cono dell’attenzione o cono dell’apprendimento) la natura del coinvolgimento in fase di apprendimento – verbale, visivo, pratico – e la conseguente durata (e quindi qualità) dei ricordi. L’apprendimento è tanto più fruttuoso, quanto più riesce a legarsi all’azione concreta, all’esperienza emotiva ad esso connessa.

Il cono dell’attenzione di Dale è stato riproposto in una versione dedicata alla multimedialità nel 2013: il “Multimedia Cone of Abstraction” propone un focus sull’utilizzo della multimedialità nelle diverse fasi dell’apprendimento, con una particolare attenzione al mezzo scelto per veicolare un determinato messaggio o suscitare una determinata reazione.

La simulazione virtuale permette di conoscere e vivere ambienti, situazioni ed eventi eccezionali, altrimenti impossibili – cronologicamente o geograficamente e l’apprendimento cinestetico giova non solo ai ragazzi, ma a chiunque si approcci a nuovi ambiti: lo stesso studio dimostra che l’uso della VR garantisce +40% di fiducia e sicurezza nel discutere e applicare quanto appreso, rispetto a quanto avviene secondo l’apprendimento frontale/passivo in aula.

Seguire il flusso della trasformazione, digitale e virtuale, è l’unico modo per sopravvivere a questi tempi incerti, mantenendo le radici ben salde nella nostra cultura – e nel nostro sistema scolastico – ma lasciandosi incuriosire dalle contaminazioni.

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